Razzismo e concetto di razza

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Il concetto e la nozione di razza (nati in àmbito zoologico e botanico, ma successivamente estesi alla sfera umana e, in senso traslato, a qualunque tipo di suddivisione, classificazione, raggruppamento) sono, si può dire, molteplici e sfaccettati tanto quanto le possibili etimologie del termine: forse dal francese haras, “allevamento” (ipotesi sostenuta da Gianfranco Contini, la quale ridurrebbe la nozione al piano meramente e rozzamente biologistico), o dall'arabo ras, origine, discendenza, retaggio, e, per estensione, sovranità; o, forse, da varie basi etimologiche latine (ratio, cioè maniera, ordine, modo, criterio, o radix, origine, fondamento, sorgente, oppure generatio, che riconnetterebbe l'origine della parola al greco ghénos, stirpe, ma anche genere, origine, nascita, con tutto l'ampio ventaglio di implicazioni interpretative che questi valori comportano.

Fu nel contesto di un pensiero assolutamente moderno, innovatore, scientifico, teoricamente democratico e progressista (dall'Illuminismo al Positivismo), e non, come si potrebbe a torto essere indotti a supporre, nel quadro di ideologie reazionarie, che il moderno concetto di razza, con tutte le sue implicazioni discriminatorie, prese forma.

Voltaire, pur se su base storico-culturale e antireligiosa, più che biologica, fu uno dei padri dell'antisemitismo moderno; già l'enciclopedismo illuminista, classificando tassonomicamente i tipi umani, poneva le basi della discriminazione (malgrado gli utopistici, vaghi e politicamente pretestuosi princìpi della Dichiarazione dei diritti dell'uomo); il positivismo evoluzionistico, soprattutto con Spencer, avrebbe ripreso questa foga classificatoria, fissando le basi teoriche per lo sfruttamento coloniale. Il mito del buon selvaggio, con sua idealizzazione ipocrita e paternalistica, non è che l'altra faccia, solo apparentemente benevola, del razzismo, poiché sottintende comunque, pur nel superficiale e manierato esotismo, l'idea di un gradino superiore che i popoli civilizzati hanno raggiunto nell'ordine inarrestabile e necessario della modernità e del progresso.

Motivazioni ideologiche e politiche, più che biologiche, stavano alla base dell'antisemitismo nazista, che muoveva dall'identificazione, non del tutto arbitraria, del Giudaismo con il Bolscevismo, e vedeva nell'Ebraismo internazionale un nemico politico.

Del resto, il richiamo alla Germania di Tacito, sulla scorta dei rinnovati rapporti fra Romanità e Germanesimo, faceva dell'idea di razza pura non un mero mito strumentale e arbitrario, ma un'entità, in certa misura, storicamente fondata. Speculare, opposto, ma strutturalmente affine, è il razzismo feroce che animava, ed anima tuttora, l'ideologia sionista, fondata sulla pretesa supremazia del Popolo Eletto, e sul diritto divino al dominio della Terra Promessa, a scapito delle genti arabe. Oggi, sulla scorta di Evola e di un Platone riletto attraverso Freda, è forse possibile recuperare e rifunzionalizzare l'idea di razza intendendola come ratio, radix, ghénos, come entità e patrimonio storici e identitari, non necessariamente discriminatori, ma senza la cui distinzione diviene impossibile qualsiasi dialogo fra culture, destinato a trasformarsi in puro caos, in infinita ed insensata serie di fraintendimenti.

Questo nuovo, o almeno rivisitato, concetto di razza, non più strumento o pretesto di odio e di discriminazione, ma semmai oggetto di riflessione culturale, fu espresso con parole sublimi da Gabriele D'Annunzio nelle Vergini delle rocce: «Solo, senza consanguinei prossimi, senz'alcun legame comune, indipendente da ogni potestà familiare, padrone assoluto di me e del mio bene, io aveva allora profondissimo in quella solitudine - come in nessun altro tempo e in nessun altro luogo - il sentimento della mia progressiva e volontaria individuazione verso un ideal tipo latino. Io sentiva accrescersi e determinarsi il mio essere nei suoi caratteri proprii, nelle sue particolarità distinte, di giorno in giorno, sotto l'assiduo sforzo del meditare, dell'affermare e dell'escludere. L'aspetto della campagna, così preciso e sobrio nella sua membratura e nel suo colore, m'era di continuo esempio e di continuo stimolo, avendo pel mio intelletto l'efficacia di un insegnamento sentenziale. Ciascuno sviluppo di linee, in fatti, s'inscriveva sul cielo col significato sommario di una sentenza incisiva e con l'impronta costante di un unico stile».

Un concetto di razza che fonde, insomma, natura e cultura, sforzo individuale e coscienza di un'appartenenza storica; ed è, dunque, non elemento biologico, ma fatto culturale.