Ernst Nolte

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Ernst Nolte, nato a Witte nel 1923, professore emerito alla Freie Universität di Berlino, è uno dei più grandi, e insieme dei più discussi e controversi, storici della nostra epoca; forse in assoluto il più grande, per vastità di sguardo, ricchezza di erudizione, coraggio intellettuale, molteplicità di punti di vista, angolature e paradigmi interpretativi.

La sua storiografia è stata spesso fraintesa, banalizzata o strumentalizzata da coloro che ne ignorano o fingono di ignorarne, o non sono in grado di comprenderne, i complessi presupposti filosofici, esposti soprattutto nel corposo Esistenza storica (tradotto in italiano da Le Lettere, Firenze 2003).

Nel dibattito culturale, specie in àmbito accademico, e perlomeno in Italia, il nome di Nolte è quasi impronunciabile, e considerato pressoché sinonimo di “revisionismo” nel senso deteriore, se non di neofascismo; a riprova di ciò, stanno le ottuse e faziose polemiche suscitate dalle lezioni e dalle conferenze che egli ha tenuto in Italia.

Allievo di Heidegger, influenzato altresì da Jaspers, Nolte ha elaborato una nozione di “esistenza storica” ‒ a mezza via fra lo stadio più remoto della preistoria e quello postmoderno della post-storia, segnato, quest'ultimo, dalla finis Historiae, dal tramonto delle grandi contrapposizioni ideologiche e delle grandi visioni del mondo in mutuo conflitto ‒ affine alla “storicità” esistenzialistica, ossia ad una dimensione e ad una visione dell'accadere aperte, trascendentali, problematiche, esistenziali appunto, dunque ulteriori, più alte e più significative, rispetto alla mera, positivistica fatticità della semplice “storia”, specie se interpretata univocamente, a senso unico, in una chiave angustamente ideologizzata o rigidamente manichea.

Ma questa “esistenza storica” ‒ della quale la stessa epopea del popolo ebraico e della sua sofferta identità attraverso i millenni sarebbe esempio emblematico ‒ è, come suggerisce già il principio heideggeriano e gadameriano, e in parte, prima ancora, vichiano, della “storicità dell'interpretazione”, interiorizzata, rivissuta e riattualizzata dall'uomo ogni volta che egli reinterpreta il suo passato. Attraverso il documento storico e la sua interpretazione, l'umanità e la storicità ‒ l'uomo come, essenzialmente, animal historicum ‒ prendono coscienza di se stessi.

Anche e proprio per questa diveniente e dinamica storicità dell'interpretazione, per questa visione dell'”interpretazione come evento”, “revisionista” è, come Nolte ha avuto modo di chiarire, ogni storico, costantemente impegnato a rivedere, rivisitare e reinterpretare il passato, anche a costo di proporre interpretazioni ardite, scomode o lontane dalla communis opinio.

La tesi di Nolte che ha avuto maggiore risonanza, e ha destato più decise resistenze, è certo quella ‒ esposta nel volume Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea ‒ secondo cui la ferocia del nazifascismo non sarebbe maggiore, e sarebbe anzi strutturalmente analoga, rispetto a quella dello stalinismo; l'Arcipelago Gulag rappresenterebbe un prius, ideale oltre che fattuale, del sistema nazista dei lager (il quale, del resto, fu, per larga parte, effettivamente modellato su quello dei campi di prigionia comunisti).

Il nazionalsocialismo sarebbe nato come reazione, non immotivata, per quanto estrema, al bolscevismo, che Hitler associava, in modo certo corrivo, al giudaismo; l'antisemitismo nazista, pur trovando conferma e riscontro in alcune teorie eugenetiche, avrebbe una matrice fondamentalmente politico-ideologica.

Del resto, come Nolte sottolinea in Esistenza storica, il sionismo, benché di indirizzo antitetico, sarebbe, in fondo, un'ideologia non meno assolutistica, arrogante e razzista di quella nazionalsocialista; e l'accordo fra i due movimenti (dalla Haavara all'abortito Piano Madagascar) ai fini di un'emigrazione, di una rilocalizzazione, anche forzate, degli ebrei verso una riserva a loro destinata, si spiegherebbe in quest'ottica.

Nel libro Controversie, Nolte ha, infine, mostrato interesse e rispetto nei confronti del revisionismo, riconoscendo a Carlo Mattogno, massimo esponente del revisionismo italiano, la qualifica di “scienziato serio”, proprio perché, in definitiva, non nega affatto che i lager fossero teatri di segregazione e di morte; per quanto concerne la delicata questione delle camere a gas, Nolte ha comunque preferito non pronunciarsi mai esplicitamente, forse per non subire anch'egli la fatale etichetta di “negazionista”.

Ad ogni modo, nazionalsocialismo e bolscevismo, egualmente dispotici, crudeli e reificanti nella misura in cui negano e sviliscono quella costitutiva “trascendenza” cui l'uomo è votato, e subordinano l'individuo alla classe o alla razza, non sono, infine, agli occhi di Nolte, che manifestazioni eguali e contrarie, per azione e reazione, di una stessa trascendente, sovrastorica “tragicità” e “grandezza” che guida e contrassegna l'accadere storico, e che schiaccia l'uomo benché questi possa, appunto attraverso la sua “storicità”, acquisirne coscienza ed autocoscienza.

Il fine ultimo della storicità, oltre la storia e la post-storia, consiste nel «conquistare la più forte coscienza di rappresentare soltanto un essere che lotta per Dio o che dispera di fronte al nulla, poiché è un essere aperto al Tutto del mondo pur non dominandolo affatto».